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L'ANALISI - Calcio italiano, la soluzione alla crisi è il prelievo dal betting?
Il sistema del calcio italiano è fermo al palo da un po’ di tempo, serve una svolta
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Ven 19 Luglio 2024 12.12
Il calcio italiano ha bisogno di nuove risorse
Milano,

Si parla ormai da tempo di riforma del calcio italiano, un maxi progetto che da troppi anni viene procrastinato e mai del tutto concretizzato. Nonostante le Istituzioni continuino ad annunciarne la prossima realizzazione, è ormai acclarato che il sistema calcio italiano resti fermo al palo da un po’ di tempo, con tutti i rischi del caso: perdita di soldi, perdita di appeal, disgregazione delle risorse e dei patrimoni. Il tutto a favore di campionati più pregiati, con più investimenti e con una pianificazione di ampio raggio.

Di recente si è tenuta una audizione alla Commissione Cultura del Senato, in cui tra i temi trattati c’è stato anche quello delle scommesse sportive, direttamente collegate al calcio italiano per ragioni ovvie eppure spesse volte stigmatizzate ed isolate. Come si legge su GamingReport.it, tra gli interventi si registra quello di Alfonso Morrone, presidente dell’Associazione dei Direttori e Collaboratori sportivi (ADISCOS): “Noi chiediamo da tempo che allo sport venga riconosciuta una parte di compensi legati alle scommesse, poiché finora il calcio al betting ha dato senza ottenere nulla in cambio”.

Un tema spinoso questo, che tiene banco ormai da tempo, alla pari di quello legato alla pubblicità. Anche qui Morrone è stato chiaro, senza alcun pelo sulla lingua: “La normativa blocca la pubblicità per contrastare la ludopatia. Ma a conti fatti dal 2019 le scommesse sono sempre cresciute. Le misure fin qui adoperate non hanno ottenuto effetti. Dunque si cerchino altrove altre soluzioni”. Perché, è innegabile, le scommesse in Italia sono un tema: in Italia il 25% della popolazione scommette, perlopiù sul calcio: nel 2022 sono stati spesi 16.5 miliardi di euro in scommesse. L’Erario ha guadagnato 342 milioni, il calcio nulla. La richiesta, dunque, è chiara: si riconosca una percentuale al calcio, anche pari all’1% dei ricavi dal betting.

Percentuale niente affatto bassa, dal momento che questa da sola genererebbe 160 milioni di euro da redistribuire in quota alle varie Federazioni del Coni. Sarebbe manna dal cielo, una boccata d’aria per tutte le serie ed in particolare per la Serie A, da almeno un decennio in una vorticosa scia decadente che ne ha minato prestigio e fascino anche agli occhi dei telespettatori e degli addetti ai lavori fuori dall’Italia.

Perché il tema vero è questo: al netto di una riforma finora mai realizzata, a soffrire sono i club, vittime di una crisi ormai storica. I costi aumentano, gli introiti diminuiscono. Le squadre storiche o faticano, come la Juventus, o sono in mano ai fondi (Inter, Milan) o ancora a proprietari stranieri (Roma, Fiorentina). Si va verso un modello americano? Forse presto per dirlo ma se si pensa all’esempio del Como, forse, ci si rende conto che i tempi sono più corti di quel che si pensa.

Al momento la società comasca, neopromossa in Serie A dopo un’assenza ventennale, è il club più ricco di cui dispone il massimo campionato italiano. Non per strutture o quant’altro, ma per la sola potenza economica della proprietà indonesiana: 48 miliardi di patrimonio per gli Hartono, chiamati a far sognare una piazza che dopo Belotti, Reina e Moreno è pronta ad accogliere anche Varane. In attesa della riforma, semmai ci sarà… 

 


  


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